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mercoledì 27 agosto 2008

L'INCESTO E IL CLIMA DI OMERTÀ DI TANTE FAMIGLIE

Il minore vittima di abuso
L'INCESTO E IL CLIMA DI OMERTÀ DI TANTE FAMIGLIE
Il bambino che vive questa esperienza è una vittima. L’impatto sulla sua psiche è devastante. È importante prevenire gli abusi e curare le vittime.

Caro padre, mi riferisco alla risposta data dal teologo su Famiglia Cristiana n. 5/2000, relativa al tema dell’incesto. Credo che il problema vada inquadrato in modo diverso da come è stato fatto. L’incesto, infatti, non è un problema di deviazione sessuale. Non è un "adulterio aggravato", ma una violenza su un minore. Il 70 per cento delle vittime dell’abuso sessuale da parte di un familiare ha un’età inferiore ai 10 anni. E non sono rari i casi di bambini di 3 o 4 anni che hanno fatto questa drammatica esperienza.

Esiste dunque una sproporzione fra l’adulto e il bambino violentato. L’adulto esercita sul bambino un potere "assoluto", poiché lo domina nella sua dimensione più intima che è quella affettiva. E il bambino nella sua fragilità si affida totalmente all’adulto. L’abuso inoltre si perpetua indistintamente su maschi e femmine. Non si può allora parlare di incesto come di un adulterio. Come se fra i due si instaurasse una relazione. Non vi è nessuna relazione reciproca fra i due.

L’incesto è sempre una violenza. Anche se può essere vissuto in una forma non brutale o aggressiva. Anzi, al contrario, i modi d’approccio dell’adulto sono suadenti e seduttivi. Ma le conseguenze non sono meno devastanti. Il bambino che vive questa esperienza è una vittima. L’impatto sulla sua psiche è devastante. Si dice che è un’esperienza "destrutturante": dà cioè inizio ad una distruzione psichica del bambino. Capovolge il suo mondo di significati e la percezione che egli ha di sé. Per rendersene conto basterebbe vedere i disegni coi quali questi bambini descrivono la loro esperienza. O ascoltarne i racconti. Da essi emerge un vissuto di violenza e di angoscia inimmaginabile. Il bambino vive un carico di sofferenza così grande da non essere gestibile: non riesce neanche a trovare parole d’aiuto.

La nostra attenzione va posta allora sulla protezione del bambino, piuttosto che sulla sessualità deviata. La mamma che scopre una situazione di questo tipo deve immediatamente proteggere il bambino. E l’unica protezione possibile è quella di non conservare il "segreto familiare". Innanzitutto perché il bambino deve parlare del proprio dolore: continuare a tenerlo dentro, senza la possibilità di esprimerlo, accelera ulteriormente gli effetti distruttivi sulla sua psiche. Il tacere sull’abuso non fa altro che progredirne le conseguenze.

Il "segreto familiare" non consente di porre fine all’abuso, perché chi abusa non è capace di fermarsi da solo. E invece va fermato perché possa riconoscere la propria patologia. Va messo di fronte a ciò che ha compiuto, che quasi sempre continua a negare. Dal punto di vista giuridico, poi, l’abuso è un reato. E va denunciato: altrimenti chi ne è a conoscenza può essere accusato di favoreggiamento. La denuncia non va vista come qualcosa che ha come conseguenza la distruzione di una famiglia. O, peggio, come una vendetta. Ma, piuttosto, come la possibilità di iniziare un cammino terapeutico che possa riparare al male fatto.

La vittima dell’abuso prende coscienza di essere tale solo di fronte al riconoscimento del male subìto. Se ciò non avviene, il bambino avrà molte difficoltà a vincere i sensi di colpa che vive. E si sentirà ancora colpevole di quanto è accaduto. Anche se è molto raro e difficile, solo alla fine di un complesso cammino terapeutico c’è la possibilità di recuperare l’unità in una famiglia segnata dall’esperienza dell’abuso.

Vorrei infine invitare a riflettere sulla possibilità di "salvare il matrimonio". Dal punto di vista del codice canonico, una situazione di questo tipo dovrebbe far riflettere sulla validità del matrimonio celebrato. Infatti, poiché una patologia come quella dell’abuso è il più delle volte esistente prima del matrimonio, si potrebbe configurare nel matrimonio stesso un vizio di consenso. E potrebbe quindi non essere valido. Che cosa giustificherebbe poi un atteggiamento di prudenza? Il non voler dare scandalo? Ma che senso ha parlare di scandalo di fronte al male che il bambino abusato ha subìto, se non si cerca di difenderlo? Si vuole salvare un matrimonio? Ma che senso ha salvare un’immagine di famiglia se non si salva un bambino?

Don Giuseppe R. (Napoli)



Caro padre, siamo un’équipe di psicologi, pedagogisti, assistenti sociali, educatori che lavorano quotidianamente con bambini e ragazzi vittime di abusi sessuali intrafamiliari. L’associazione di cui facciamo parte gestisce un Centro anti abuso, un Centro per la tutela del bambino e la cura del disagio familiare e tre consultori diocesani. Leggendo la risposta del teologo, ci è sembrato che, al di là di una corretta presentazione del pensiero della Chiesa circa la sessualità tra i coniugi, al di là della esauriente disamina sessuologica di deviazioni e perversioni, al di là anche delle indicazioni di natura giuridica, sia canonistica che penalistica, il teologo abbia trascurato un qualsiasi accenno alla figura della vittima, alle conseguenze che atti tanto gravi, e per di più perpetrati da un familiare autorevole e affidabile, come appare un padre ad una figlia, hanno sullo sviluppo di una giovane creatura. Compromettendone per sempre, se non si interviene tempestivamente a bloccare l’incesto, l’equilibrio non solo sessuale, ma psico-affettivo.

Quali mezzi suggerisce il teologo alla madre, «per far cessare questa pratica abominevole?». Nella risposta non se ne trova traccia. E la nostra esperienza ci dice che è impossibile che queste pratiche vengano sospese solo con un intervento intrafamiliare, perché hanno radici profonde e lontane. Non per nulla esse sono qualificate dalla legislazione italiana come reato.

Ma, soprattutto, quale matrimonio il teologo consiglia alla signora di salvare, se la relazione coniugale è già giunta a questi livelli di degrado? Ci sembra che la risposta non aiuti a superare quel clima di omertà che purtroppo caratterizza ancora l’abuso sessuale sui minori (specialmente l’incesto). Omertà che porta a coprire, con scuse simili a quelle addotte dal teologo, non solo la sofferenza inflitta al minore, ma anche il vero e proprio reato.

Quanto alla sofferenza del minore, avrebbe potuto non essere fuori luogo richiamare le espressioni evangeliche riguardo allo scandalo che gli adulti possono dare ai bambini.

(Seguono otto firme)
Centro Anti abuso di Marghera Venezia

La risposta data dal teologo relativamente all’obbligo che ha una moglie di denunciare il marito, qualora venisse a conoscere che commette incesto con la figlia, non ha soddisfatto alcuni lettori. Si tratta, come si vede, di persone autorevoli, impegnate in prima linea nella lotta agli abusi all’infanzia. Per questo accogliamo il loro invito e torniamo sull’argomento, vincendo la ripugnanza che il tema suscita.

Purtroppo le violenze inflitte ai bambini – quelle sessuali in primo luogo – sono molto più frequenti di quello che vorremmo immaginare. È urgente mobilitarci per prevenire questi abusi. E per curare coloro che ne sono vittime.

Nella domanda rivolta al teologo e nella sua risposta non si faceva riferimento all’età della vittima dell’incesto. I lettori insoddisfatti della risposta hanno dato per scontato che si trattasse di un minore. Così infatti è il più delle volte. Ce lo dicono le statistiche. E ce lo ricorda don Giuseppe R.: il 70 per cento delle vittime di un abuso sessuale da parte di un familiare ha un’età inferiore a 10 anni.

La risposta del teologo sarebbe stata probabilmente diversa se fosse stato messo nel dovuto rilievo questo aspetto. In questo caso, infatti, la donna che fa l’agghiacciante scoperta di ciò che sta avvenendo dentro le mura domestiche non è in primo luogo una moglie tradita. Ma è una madre che si confronta con un fatto di un’enormità assoluta: il proprio figlio/figlia sottoposto a tortura.

E non sembri esagerato il termine. Gli esperti che hanno in cura bambini vittime di abusi non trovano parole sufficientemente efficaci per descrivere gli effetti devastanti che l’incesto ha nella psiche e nella vita affettiva delle vittime. Con conseguenze a lungo termine: coloro che hanno subìto questo tipo di violenza tendono a infliggerlo a loro volta ai propri figli. Se così è, il silenzio non può essere un’alternativa da prendere in considerazione. Non si può mettere sullo stesso piano l’interesse a "salvare il matrimonio" e la difesa del bambino.

L’intervento di una madre responsabile non può tendere solo a bloccare l’abuso, ma deve mettere in atto, il più rapidamente ed efficacemente possibile, un intervento terapeutico. L’incesto non è una piccola "bua" che si cura con un bacino. L’intervento riparatore è difficile. E deve essere eseguito da professionisti competenti. L’atteggiamento di "prudenza", raccomandato dal teologo alla moglie del marito incestuoso, è stato fortemente criticato da alcuni nostri lettori. Chiedere consiglio a persona prudente, che conosca la situazione della famiglia e sappia giudicare con saggezza non è stato considerato un consiglio accettabile da coloro che lavorano con questi abusi. La prudenza rischia di trasformarsi in pusillanimità. È comprensibile, ma non condivisibile. Se prevale la strategia di non pensarci più, di "metterci una pietra sopra", questa rischia di diventare una pietra tombale per la psiche del bambino che è stato vittima.

Inoltre, gli esperti testimoniano che le pratiche di abuso non vengono sospese solo per un intervento intrafamiliare. I comportamenti patologici che in esse si esprimono hanno radici profonde: non basta un proposito della volontà, per quanto sincero, a farli cessare (ancor meno di quanto serva a un alcolista un proposito di questo genere per staccarsi dalla bottiglia). Il consiglio più appropriato, perciò, è che la moglie si rivolga a un centro specializzato, rompendo l’omertà familiare e permettendo ai professionisti competenti di avviare le misure necessarie per "bloccare" il padre incestuoso e per avviare l’intervento terapeutico per il bambino violato.

È utile tener presente la Dichiarazione in tema di abuso sessuale all’infanzia (1999), che esprime il consenso raggiunto dal "Coordinamento italiano dei servizi contro il maltrattamento e l’abuso all’infanzia", dopo un lavoro di tre anni. Gli esperti hanno riconosciuto che il danno che subisce il bambino è tanto maggiore quanto più il fenomeno resta nascosto. O non viene riconosciuto, e non viene attivata alcuna protezione.

Infine, portare il problema nella sede giusta, costituita dai servizi specialistici, è benefico anche per la madre. Non bisogna sminuire, infatti, il trauma che la notizia costituisce per la donna. Anch’essa, pur con maggiori difese di un bambino, è un essere umano profondamente ferito. Bisognosa di un aiuto specifico.

d. a.

http://www.club3.it/fc00/0019fc/0019fc04.htm

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